Joy Grifoni

Ha studiato al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, Fonderia delle Arti, Università di Musica, Saint Louis College, Roma Jazz Cool, Fabriano In Jazz, Arcevia Jazz, Umbria Jazz, Siena Jazz, Enrico Rava Young Orchestra, IASJ Riga, Jazz Institute of Berlin , Berklee College di Boston.

Si è diplomata a pieni voti in contrabbasso presso il Conservatorio Licinio Refice di Frosinone, diploma in Musicoterapia presso la Pro Caritate Civitas di Assisi, Letteratura, Musica e Spettacolo presso l’Università La Sapienza di Roma, Musicologia presso l’Università La Sapienza di Roma, Master in Musicoterapia presso il Conservatorio Luca Morenzio di Brescia.

Ha collaborato con Maurizio Urbani, Massimo Manzi, Giovanni Ceccarelli, Carlo Battisti, Aki Montoja, Marcello Allulli, Garrison Fewell, Maurizio Giammarco, Carlo Atti, Eugenio Colombo, Ettore Fioravanti, Jim Rotondi, Dave Liebman, Barry Harris, Ornette Coleman, Lenny White, Brian Blade, Orchester Berlin Philharmonic Youth, Jazz Orchestra of the Refice Conservatory.

Ha suonato da leader o sidemen in numerosi festival nazionali ed internazionali e in prestigiose venue come Acuto Jazz Festival, Villa Celimontana, Auditorium Parco della Musica, Teatro India, Auditorium Massimo, Fete della Musique, Festival Women in Jazz Adkins, Jazz e Dintorni, Festival Jazz di Montreaux, We Love Jazz Clusone, Iseo Jazz, Garda Jazz festival, Umbria Jazz, Jazz and Surroundings Festival, Atina Jazz Festival, Vicenza Jazz Festival, Festival X Giornate Brescia, Tuscia European Jazz Festival, Umbria Jazz Winter, Edinburgh Hogmanay Festival, Novara Jazz Festival, Lucca Jazz Donna.

Ha ricevuto numerosi riconoscimenti: Almalaurea Best Awad, Berklee Award Scholarship, Miur Nationale Prize Foreachers, Premio Miglior Musicista dell’Anno (Fara Jazz Festival), Miglior Musicista (Labro in Jazz), Premio Note di Donna (miglior compositrice dell’anno), finalista al Chicco Bettinardi Contest con il progetto PURE JOY.

E’ fondatrice e leader del progetto PURE JOY, con cui si è qualificata al secondo posto nell’European Jazz Contest Tuscia 2017.

Discografia:
“Live at Alexanderplatz” – prodotto da Fonderia delle Arti,
“Working Women” – prodotto da Inail,
“Hearthings” – prodotto da Nuccia Studios,
“Our Last Song” – prodotto da Sonus Factory

Di prossima pubblicazione:
“Spirit of the Wood” – ospite Fausto Beccalossi – prodotto da Abeat Records
“Firedance” – ospiti Flavio Boltro – prodotto da Abeat Records

Cosa dicono di lei:

“Ad un primo ascolto, la musica di “Spirit of the Wood” appare come un jazz di matrice europea, ben scritto e altrettanto ben suonato, forte di un respiro collettivo ampio e rilassato, costellato di interventi solistici ispirati ed efficaci.
Ciò già di per sé non sarebbe poco; tuttavia brano dopo brano emerge anche il disegno più grande di Joy, ovvero la sua determinazione nel dare un suono all’uguaglianza e al rispetto, valori imprescindibili in musica e nella vita, della cui esistenza sappiamo ancora, ahimè, dimenticarci.
Trovo che questa necessità, a prescindere dalla forma di comunicazione e dall’estetica scelte, sia urgentemente connessa al tempo presente, e di conseguenza vada sempre accolta nella sua immediatezza, preziosa qualità troppo spesso guastata da un vizio di storicizzazione, legittimazione e catalogazione, di cui vari operatori culturali hanno da tempo abituato noi ascoltatori ad abusare.
Joy c’è, osserva, comunica e segna il suo percorso.”

Emanuele Maniscalco (musicista e compositore)

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“Tre caratteristiche che mi fanno spesso detestare i dischi di jazz contemporaneo sono: la scarsa capacità progettuale sul lungo periodo; gruppi raffazzonati che si trovano solo per registrare, pensando che tanto nessuno se ne accorgerà; l’andamento sportivo che alcuni interpreti hanno impresso alla musica, che tanto più vale se difficile, velocissima, e piena di note all’inverosimile.
Sono stato felice di aver potuto constatare che “Spirit of the Wood” è al contrario un album particolarmente bello e interessante: protagonista è un gruppo rodatissimo, una vera famiglia musicale sostenuta dalla leader, Joy Grifoni.
L’album è il primo di una serie di cinque dedicati agli elementi della tradizione cinese, un lavoro particolarmente elaborato che si svilupperà su un lungo arco di tempo.
E infine si tratta di un disco che non ha bisogno di urlare, che trova nel lirismo e nella delicatezza espressiva la sua cifra stilistica.
Che non vuol dire che manchino il groove o le capacità di stupire; semplicemente sono declinate con leggerezza e maestria.
Aspetto con curiosità i prossimi elementi; nel frattempo se pensiamo al legno come materia vivente, che respira e che si sviluppa nel corso del tempo impercettibilmente ma costantemente, posso dire che “Spirit of the Wood” è un titolo particolarmente ispirato e ben riuscito.”

Eugenio Mirti (Jazzit – Jazzespresso)

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“Non è questo il luogo per una critica esaustiva ma il bell’album di Joy Grifoni e del suo gruppo “Pure Joy” merita alcune osservazioni.
Intanto la coesione della formazione, sia essa quintetto: c’è un’avvertibile, alchemica intesa tra i jazzisti, la musica ne trae respiro e giovamento.
Riuscita ed efficace l’utilizzazione delle voci strumentali saggiamente armonizzate (come in “Lioness”).
Non mancano microsezioni interessanti che in “Shy” si intrecciano in assoli doppi.
Qua e là si ascoltano anche episodi polifonici, preziosi e miniaturistici. Tra i brani si apprezzano “Pure Joy” per la dimensione positiva ed esuberante, il tema incisivo e fulminante; “Windspeech” per la sua ariosità; colpisce l’essenziale “Gsus Bless Ya” per il motivo “cantato” dal contrabbasso e lo sviluppo per sax soprano. Stefano D’Anna è, in effetti, uno strumentista maturo di grande personalità che spicca nel gruppo ma non prevale né opprime, come del resto fa Fausto Beccalossi con la sua fisarmonica.
Infine due parole per la leader. Il ruolo di Joy Grifoni (oltre al livello compositivo) è basilare per l’identità sonora del gruppo. Quando accompagna lo fa in modo spesso a cavallo tra armonia e melodia (con una certa preferenza per quest’ultima) mentre i suoi soli cantabili non fanno sfoggio di tecnica ma puntano all’intensità ed alla profondità del suono.
Un suono pieno, pastoso che evoca la grande lezione di Charlie Haden.
Bravi tutti, anche la versatile chitarra di Francesco Baiguera e la timbrica personalissima del piano di Mattia Manzoni.
Tanta, bella e sentita musica.”

Luigi Onori (critico musicale de “Il Manifesto” – saggista e docente)